Omelia anniversario don Pietro Margini “Consacrazione, comunione, diaconia”

Omelia 28° Anniversario nascita al cielo di don Pietro Margini

Il testo dell’omelia di don Luca Ferrari in occasione della messa di anniversario della nascita al cielo di don Pietro Margini, 8 gennaio 2018

(1 Sam 1,1-8; dal Salmo 116; Mc 1,14-20)

Nel primo giorno del Tempo Ordinario, la Chiesa ci offre la fotografia o, piuttosto, un bozzetto di come è cominciata l’avventura dei primi uomini divenuti “discepoli” di Gesù. A loro dobbiamo la nostra stessa speranza.

Pare non aspettassero altro. Pur avendo un mestiere in una piccola impresa, una famiglia, una casa, sono pronti a seguire il sogno offerto da chi promette di trasfigurare ciò che hanno appreso con diligenza e vivono con passione. La pesca era ciò che sapevano fare e facevano, ma rappresentava un sogno più grande che l’invito di Gesù suscita e svela nel loro cuore: diventare pescatori di uomini.

Il rapporto con le cose di ogni giorno può indicare, ma non esaurire la sete di relazioni autentiche, la capacità di amare che si realizza soltanto in modo personale. E l’amore umano, a sua volta, rivela all’uomo il desiderio di Dio, del suo volto, della sua amicizia, del suo cuore.

A tanti possono sembrare lontani i tempi in cui le persone erano così legate ad un luogo, ad una casa, ad un lavoro, ad un coniuge, ad una regione della terra.

Viviamo oggi una stagione in cui molti sembrano accontentarsi di godere di ciò che immediatamente possiedono, e non pochi riconoscono di stagnare in una rigida e pungente solitudine. Profonda, come un dolore sordo, grave, e disteso nell’anima.

Siamo migranti in cerca di una casa che non è per sempre, e non è fino in fondo quella che già abitiamo.

Il miraggio del benessere si è infranto nella rincorsa a soldi, successo e piaceri che non bastano mai a riempire il cuore. Abbiamo raggiunto una qualità di vita in cui sembra non mancare nulla, se non ciò che è essenziale: un amore vero dell’uomo e di Dio.

Qual è il segreto di una disponibilità sincera a corrispondere ad una chiamata?

Fa impressione l’umiltà di Dio, il modo con cui invia il suo Figlio. Silenziosamente, come è apparso nel mondo a Betlemme, Gesù si affaccia sulla scena pubblica nel contesto di una piccola folla che chiedeva perdono per i propri peccati. Ricevuto il battesimo di Giovanni, si rivolge a due coppie di fratelli. Ci saranno anche loro, i primi, tra quanti Gesù sceglierà per stare con lui e anche per mandarli. (cfr. Mc 3,14) Seguire lui è il primo contenuto della chiamata. Saranno i “suoi”: la loro vita non sarà più rivolta a se stessi, ma a Lui.

Come li ha chiamati?

La liturgia di ieri, nella solennità del Battesimo di Gesù, ricordava le parole di Giovanni il Battista: “Non sono degno di chinarmi a sciogliergli i legacci dei sandali”. (Mc 1,7)

Ebbene, Gesù si è chinato su di noi. Colpisce l’espressione del Salmo 40: “Si è chinato su di noi”. Penso a come un bambino, quando vede il suo papà arrivare, spesso si aggrappa alla mamma, finché il papà non si china alla sua altezza: ed ecco che il piccolo lo guarda negli occhi, corre incontro a lui e lo abbraccia forte, liberando così il suo cuore in un grande sorriso.

Ecco perché la chiamata di Gesù affascina ancora oggi. Se Dio volesse essere glorificato manifestando soltanto la sua grandezza, ci sentiremmo allontanati e schiacciati. Gesù è divenuto uomo, ha imparato a piangere e a ridere, a studiare e lavorare, ha percorso le strade calde e polverose della Palestina, ha confermato il suo cuore nell’amore del Padre, ha invitato uomini a seguirlo. Lo hanno fatto! L’apostolo Giovanni, avendo compreso di essere il discepolo che Gesù amava, ha lui pure chinato il capo sul petto di Gesù nell’Ultima Cena. Il discepolo amato ricorda per ben due volte nel Vangelo quell’istante di cielo che alimenterà nostalgia e sicurezza per tutta la sua vita. (Gv 13,25. 21,20)

Chinarsi sul cuore di Gesù significa scendere da quell’orgoglio che ci chiude in una supponente grandezza.

Attraverso esperienze umane riempite da Lui, ogni discepolo può scrutare il mistero di Dio, che continua a chinarsi su di noi nella liturgia e nei sacramenti, appoggiando il capo sul petto ardente di Gesù, ascoltandone i palpiti e dilatandone il desiderio. Così, il dono più grande che un credente può fare agli uomini e all’universo creato è condividere l’amore di Dio con tutti, con coloro che riconoscono la loro povertà e cercano il fondamento della vita non accontentandosi di ciò che passa. Questa sarà la missione dei discepoli divenuti apostoli.

Ed è la nostra storia. Anche per noi c’è stata una voce che ci ha chiamato, un cuore che ci ha generato. Il Signore si è chinato nella nostra vita attraverso don Pietro. Interroga ancora il fatto che in tanti abbiano deciso di seguirlo con le loro speranze e con tutta la famiglia. Il segreto di quanto è avvenuto va indagato nel fascino della rettitudine e integrità di un sacerdote libero perché obbediente a Dio e alla Chiesa, e obbediente perché libero.

Che cosa ha proposto don Pietro ai suoi figli?

Di seguire Gesù ovunque si fa trovare, nell’imitazione e nell’affidamento a Maria, attraverso una vita che diventa pienamente umana nella luce divina.

Che cosa ha insegnato a quanti lo hanno seguito?

Uno slogan non può certo riassumere la ricchezza del suo ministero, ma possiamo ricordare aspetti che continuiamo a ritenere attualissimi, pensando alle sfide oggi evidenti. Tra tutte la vocazione alla santità nella famiglia, come grembo di tutte le vocazioni.

Il beato Paolo VI, che speriamo presto santo, così si esprimeva il 5 Gennaio 1964 (giorno del compleanno di don Pietro) nel suo famoso pellegrinaggio in Terra Santa: “Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale.” E ricordava, rivolgendosi a tutte le famiglie con tono accorato: “Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.”

Nella prima lettura abbiamo ascoltato il toccante grido di una donna amata e tuttavia umiliata per non avere figli. Quella donna sarà ascoltata e diverrà madre di Samuele. Quante volte anche a don Pietro era stata rimproverata la mancanza di vocazioni sacerdotali! Ma lui era convinto che da famiglie sante sarebbero venuti anche i sacerdoti. E Giovanni Paolo II, nella Familiaris Consortio, affermerà che la famiglia veramente cristiana è “il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio”. (FC 53) Solo alla fine della sua esistenza terrena don Pietro ha goduto intimamente per la conferma della ispirazione ricevuta. Ed offre una indicazione preziosa per il nostro tempo così avaro di vocazioni: esse fioriranno se si avrà cura della famiglia.

 Da qui l’impegno di don Pietro ad educare con energia i suoi giovani, così come ha raccomandato a loro volta di fare con i propri figli. Un’educazione:

  • all’amore della preghiera, una preghiera robusta e adatta a sostenere le grandi responsabilità degli sposi, dei genitori, dei giovani in un cambiamento d’epoca;
  • al profumo della purezza fedele e intima, con il coraggio di un ideale alto e di scelte congruenti, nella finezza dei particolari, nel rispetto maturo e sincero di ogni gesto e parola, nel fidanzamento come nel matrimonio;
  • alla gioia feconda della generosità senza calcoli: impareggiabile quella testimoniata dai suoi ragazzi, ora adulti o anziani, che hanno speso davvero se stessi, i propri doni ed i propri beni per il Signore e per il Suo Regno;
  • all’obbedienza leale e sincera a Dio e alle esigenze del suo amore che vuole la nostra gioia piena e duratura.

Il tutto in una sapienza intelligente ed esigente, mai paradossale o provocatoria. In anni di cambiamenti e contestazioni, non si è posto come un rivoluzionario, ma come un vero riformatore: cercando e trovando nel Vangelo le risposte alle domande del cuore dell’uomo. Anzi, interpretando l’uomo e le sue domande alla luce dell’uomo-Dio, Gesù di Nazareth.

È questo, mi pare, il segreto dell’attualità di don Pietro. Senza l’educazione a questa sapienza che sa valorizzare, custodire, far fiorire e fruttificare l’amore, ci troviamo costretti, come ricorda spesso papa Francesco, ad arrenderci all’egoismo ed alla violenza che procurano in tante famiglie ferite profonde a piccoli e grandi. Don Pietro ha dunque preso per mano tutti coloro che si sentivano poveri e disorientati, ascoltando ed educando ad una vita bella e buona anzitutto con la sua testimonianza, nella sapienza del Vangelo.

Che cosa ha lasciato a quanti lo hanno seguito? Qual è la sua eredità?

  • La fecondità di un ascolto senza limiti e riserve. Sentiamo di rivolgere a lui, ancora, tante domande e di sapere che le ascolta. Mi sorprende vedere come tanti di noi, che non hanno conosciuto don Pietro, parlano di lui e con lui con una familiarità commovente.
  • L’amore spinto fino al sacrificio di sé, senza fuggire la croce. La testimonianza di un padre resta sorgente di forza per i figli. Non era vecchio quando si è spenta la sua vita terrena, ma era certamente consumato dal dono totale delle sue energie. Così, come un buon padre, è stato esemplare anche nell’adorazione della volontà di Dio, quando ha sperimentato pesantemente limiti e umiliazioni.
  • Ma soprattutto ci ha lasciato il tesoro di una comunità, della Chiesa, in particolare nella parrocchia, come comunione di comunità. Se dopo tanti anni molti di noi non sono soli è proprio per il dono di riconoscere la presenza del Signore assieme gli amici attraverso i quali è Lui a parlare, ad ascoltare, a correggere, a sostenere. Torniamo qui al senso dell’invito di Gesù a seguirlo, a stare con Lui.

Il dono che quotidianamente ci accompagna è proprio la comunità a cui ci ha affidato. Tutti cerchiamo e spesso troviamo qualcuno con cui condividere gli interessi del momento: un compagno, un collega, una famiglia. Possono essere vicini per mesi o per anni, per una vacanza come per un servizio. Poi, però, se ci stanchiamo, se ci deludono o ci feriscono, in un attimo li abbandoniamo. Talvolta, perciò, lasciamo gli amici veri o persino la moglie, il marito, i figli, i genitori, quando hanno bisogno o ci paiono scomodi. La comunità cristiana rappresenta la garanzia della nostra stessa fedeltà.

Nella comunità sappiamo di rispondere all’invito accorato che don Pietro ci ha fatto; è così che possiamo conservare integro il patrimonio che ci ha lasciato. “State uniti”, “Vogliatevi bene”, “Vogliatevi bene nel Cuore Santo di Gesù”.

 È questa la passione che desideriamo condividere, nella missione apostolica che la Chiesa ci indica, qui e ovunque siamo chiamati, per offrire a tanti la gioia di scoprire l’invito di Dio ad essere la Sua bella famiglia.

Ci rivolgiamo pertanto al Signore con l’intercessione di don Pietro, che da oggi invocheremo con una preghiera comune, perché ci conceda la gioia di essere suoi discepoli in un cuore solo ed un’anima sola. (At 4,32)

Anniversario della salita al cielo di don Pietro Margini

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