Omelia XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, don Benedetto Usai

Omelia XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 10 Novembre 2019

Dio non è dei morti, ma dei viventi.

«Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo»

Affidarsi, consegnarsi, sparire. Sembrano le parole di chi ha perso la speranza, di chi non ama la vita, e lascia con rammarico e frustrazione ad altri la propria responsabilità. No! Sono le parole più vere della fede, di chi è stato scelto dal Signore per appartenergli in tutto, soprattutto quando la vita che lo abita si scontra a muso duro con i propri desideri passati. Ci ribelliamo al pensiero di non riuscire ad assolvere come prima alle scadenze della nostra chiamata all’amore, quasi come se fosse una condanna da cui non poterci allontanare, un peso che può diventare insopportabile se rimane uno sforzo competitivo con noi stessi e con gli altri.

Che cosa invece mi deve preoccupare? Fare l’esperienza più desiderabile per ogni uomo, che non ha paragoni con nessun altra, e che e’ sempre un nuovo inizio: la vita stessa di Cristo. Gesù è solo morto o è ancora vivo? Se è stato ucciso, non ha neppure senso che io mi arrabbi, perché tanto so’ che prima o poi morirò anch’io; se invece è vivo, non solo ha spento la forza distruttiva della morte, ma è stato capace di darle un significato. Ciò che ora sperimento come morte, l’orgoglio, la sconfitta, la disperazione, può diventare la vita stessa di Cristo. In essa non ha temuto di perdersi, l’ha abitata, e l’ha rianimata. Crediamo che il Signore non permetta niente che sia al di sopra delle nostre forze, perché desidera che non fuggiamo la nostra morte, ma l’accogliamo come il luogo della sua vita. Affidarsi, consegnarsi, sparire, ora è il suo momento, tocca a Lui.

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