Omelia Pentecoste 2019, don Benedetto Usai

Omelia di Pentecoste, Anno C, don Benedetto Usai

L’orgoglio e l’egoismo dell’uomo creano sempre divisioni, innalzano muri d’indifferenza, di odio e di violenza. Lo Spirito Santo, al contrario, rende i cuori capaci di comprendere le lingue di tutti, perché ristabilisce il ponte dell’autentica comunicazione fra la Terra e il Cielo. Lo Spirito Santo è l’Amore. (Benedetto 16, Omelia Solennità di Pentecoste, 4-06-2006)

Chi pensiamo di essere? Ci capita spesso, anche senza esserne coscienti, di avere la presunzione di poter fare tutto quello che abbiamo già deciso, per dare risposta ad un nostro ‘dover essere’ che ci siamo costruiti nel tempo. Lo facciamo per stare tranquilli, per giustificare anche la nostra impotenza, che ci si presenta come un salvagente al nostro orgoglio. Più facciamo più ci sentiamo bene e quando abbiamo finito non riusciamo a fermarci, dobbiamo riprendere il lavoro per non restare soli e isolati. C’e una parola, semplice e complessa, che sta alla base della nostra vita e che Gesù ci mostra in trasparenza: ascolta. Gesù non ha detto e fatto niente, che non abbia prima sentito dire o visto fare dal Padre, cioè ha atteso tutto da Colui che è la sua vita. Vivere di fede muove i suoi primi passi da questa coscienza, ci purifica nell’intimo e ci rida’ a noi stessi nuovi perché liberati. Possiamo definirla, in modo indebito, come una sorta di sfida che presentiamo al Padre, perché sia Lui a ridarci vita: dimostraci che solo Tu può darci la vita che desideriamo, quella vera, e che non siamo capaci di generare con il nostro fare. Siamo così sicuri che il Signore desidera che noi siamo quello che siamo diventati, sempre indaffarati in tutto, alla ricerca quasi soffocante di conferme che giustifichino il nostro esserci? Gesù chiede agli apostoli di fermarsi e di attendere che sia loro consegnato il dono dello Spirito, quello che il Padre ha promesso, e che Gesù continua a dare con abbondanza a coloro che lo chiedono. Fermarsi ad aspettare, fermarsi e attendere, fermarsi per ripartire. Gesù sa che ne abbiamo bisogno, e ci chiede di fidarci, perché sara’ Lui a dirci quello che dobbiamo fare. Fermarsi: una parola che trova poca corrispondenza con la nostra vita frenetica, dove cerchiamo di riempire i nostri vuoti con cose, attività e persone, li copriamo o li sotterriamo perché non vogliamo vederli.

A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?.

C’è una lingua che accomuna tutti, perché è da tutti attesa e compresa, una lingua che non si impone ma che si esprime nel fruscio di una brezza leggera. Non la senti se non stai fermo ad ascoltarla, ti passa a fianco senza incontrarti se cammini a testa bassa per completare la tua opera, soprattutto perdi l’occasione di respirarla se ti ostini a non lasciarti abbracciare. Prima ancora di chiedermi: cosa penso di fare? chiediamoci: chi penso di essere? Sono perché sono amato, desiderato da sempre, cercato perché ci sono. Lo Spirito ci porta dentro a questa verità profonda, ci ripete Gesù, che ci parla a faccia a faccia.

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