Diaconia: la missione in Madagascar. Le parole di don Luca Fornaciari
Mi è stato chiesto di parlare di diaconia; di cosa significa nella mia vita questa dimensione fondamentale dell’essere cristiani, certamente nella specificità della vocazione sacerdotale che ho ricevuto in dono, e credo anche, in questo momento, secondo la tonalità missionaria che già da qualche mese sto vivendo qui in Madagascar. Ecco, appunto, in quest’ultima stagione della mia vita ho avuto il tempo di approfondire il senso di essere al servizio; in effetti, questi mesi, sono stati un tempo privilegiato per conoscere e discernere meglio che cosa significa essere sacerdote, di cosa significa essere al servizio. L’impatto con la realtà del Madagascar, così diversa, certamente mancante di tanti beni di prima necessità (o che perlomeno noi consideriamo tali), mi ha aiutato a comprendere meglio, più direttamente e concretamente, i bisogni di chi ci sta accanto; a volte con un’evidenza tale da non riuscire a restare indifferenti.
A questo punto, credo, che un aspetto nuovo si inaugura nella mia vita: di fronte a così tanta gente che ha bisogno, occorre lucidità, fermezza, pazienza… non si può arrivare a tutti, occorre equilibrio, da una parte non lasciarsi soffocare dalle continue richieste e quindi cercare di mantenere una regolare vita di preghiera e di lavoro, e dall’altra parte evitare anche di restare distaccati da ciò che ci circonda, rimanendo in una sorta di palazzo di cristallo, distante dagli altri. Piccola parentesi: questo è certamente un tema che non si può e non si deve sviluppare nei pochi minuti di questo intervento, occorre tempo, approfondimento, esperienza, credo sarebbe bello poterlo affrontare nei prossimi anni assieme.
D’altro canto, il tempo dello studio, a volte sfibrante, apparentemente poco produttivo e gratificante, è prezioso per entrare con docilità e rispetto nella cultura e nella fede di questo popolo a cui il Signore e la Chiesa ci hanno inviato. Imparare una lingua così diversa dalla nostra, che affonda le sue radici in un mondo che ragiona secondo altre categorie, che possono sembrare poco interessanti o spendibili al giorno d’oggi, ma che allo stesso tempo sono state capaci di mantenere vivi valori e dimensioni umane che noi abbiamo dimenticato e forse mai conosciuto; ecco, credo che imparare questa lingua, sia una forma nobile di servizio a questo popolo. Una forma di servizio che sta occupando le giornate mie e di don Simone, che talvolta rischia di farle divenire monotone, poco interessanti, ma che ci permette anche di entrare in punta di piedi in una mondo che ha tanto da insegnarci. Pensavo… se arrivassimo e pretendessimo che tutti imparassero la nostra lingua, o se ci limitassimo a utilizzare il traduttore.. sarebbe certamente uno sbaglio..non saremmo in grado di entrare nel significato delle cose e dei bisogni di questa gente e rischieremmo di ripetere gli schemi che hanno avuto più o meno successo in Italia, condannando la nostra opera ad una facile sterilità.
Capite, quindi, come in questo senso, mi sento molto privilegiato, perché grazie a questa disponibilità alla missione, in questa terra, in questa grande isola, ho la possibilità di vivere dimensioni di servizio nuove, che finora in Italia non avevo immaginato. Potrei sintetizzarli così: primo, lo studio per entrare in una storia, in una cultura, in una fede dove Cristo comunque si manifesta e ci permette di conoscerlo più a fondo (particolarmente significativa la celebrazione in occasione della beatificazione del martire malgascio Lucien Botovasoa, alla quale abbiamo partecipato); e secondo: la necessita ci capire, in futuro, ma già da adesso, cosa significa fare carità, accogliere, ed essere padri di una comunità, in un contesto dove manca materialmente tanto, ma dove è ancora presente tanto umanamente, un po’ il contrario rispetto alla realtà dove siamo nati e cresciuti.
E poi, in terza battuta, anche il servizio nei confronti dell’associazione sacerdotale, della diocesi, degli amici delle nostre parrocchie che ci hanno inviato e che contano su di noi per maturare anch’essi uno sguardo nuovo, giovane sul mondo e sulla Chiesa. La testimonianza della e dalla missione potrà permettere ad ognuno di voi, amici delle comunità di famiglie, a osare un po’ di più, ad essere entusiasti per il dono prezioso che abbiamo ricevuto e di conseguenza, desiderare con maggiore coraggio di rivelarlo laddove il Signore ci pone. Che significa questo concretamente? Credo non soltanto rimanere informati su ciò che facciamo, non solo standoci vicini materialmente e spiritualmente, ma credo anche osando, rendendovi disponibili nelle parrocchie dove siete, nei confronti degli amici di comunità e persino, nelle comunità dove sono presenti i nostri sacerdoti. Questo viaggio, tutti questi chilometri fatti per giungere fin qui senza sapere quasi nulla di ciò che avremmo trovato e vissuto, dovrebbe essere stimolo per tutti voi che siete a casa per esserci un po’ di più, per fare qualche chilometro in più, a Verona, a Roma, e persino qui presto, nella grande isola rossa. Sarebbe bello, questo significa rendere feconda la missione in Madagascar come ci suggeriva il Vescovo Massimo il maggio scorso.
C’è un altro aspetto che mi piacerebbe sottolineare, e che credo ci riguardi più da vicino. Abbiamo giustamente fatto il percorso Consacrazione, Comunione e Diaconia.. è vero, mi accorgo di quanto questo itinerario sia corretto. Venendo qui mi sono maggiormente accorto, qualora non fosse chiaro, che queste tre dimensione non sono tre step successivi dove concluso uno si inizia l’altro, quasi a compartimenti stagni, ma continuamente si richiamano e si rivitalizzano a vicenda. Nel senso che avendo dato la disponibilità per la missione, sto conoscendo un senso pieno di diaconia, che in questo modo dona luce anche alle altre due dimensioni, alla consacrazione, in quanto comprendo meglio chi è il sacerdote, e alla comunione, prima di tutto con don Simone, ma anche con tutti coloro che collaborano e collaboreranno con me. Pensavo, anche prima di partire, a come sia profondamente sbagliato aspettare di aver compreso bene chi siamo e poi aspettare anche di volerci bene fra di noi prima di rivolgerci agli altri e al mondo, altrimenti rischieremmo di non partire mai, di restare immobilizzati.. è proprio il servizio che ci aiuta a far crescere tutto il resto, ovviamente partendo da un solido punto di partenza. Concretamente, con don Simone, non c’è mai stato un rapporto privilegiato negli anni in Italia, probabilmente per interessi diversi e per mancanza di occasioni, ma non potevamo certo aspettare di essere amici per la pelle per poi partire, ci è bastato essere in comunione, per poi aspirare anche di diventare amici, grazie anche all’aver compreso meglio tante sfumature della nostra consacrazione. L’essere al servizio assieme, ci aiuta quindi a conoscere meglio chi siamo, e a volerci bene maggiormente.
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