Comunità in dialogo. Diaconia è vocazione, fecondità, comunione

Diaconia è il tema della testimonianza di Pietro Ferrari, giovane diacono della diocesi di Reggio Emilia – Guastalla.

Questa sera provo a testimoniare in pochi minuti cosa rappresenta il servizio nella mia vita. E lo sintetizzo in tre punti:

  1. Il servizio non è semplicemente la tassa da pagare per accedere al Paradiso; ma il mio modo specifico di conformarmi a Cristo servo, la mia vocazione.
  2. Il servizio rende feconda la mia vita.
  3. Il primo servizio è primariamente servizio alla comunione.

Provo quindi a sviluppare questi punti, partendo dal primo. Dicevo, servizio come vocazione.

Pietro Ferrari con la famiglia in braccio alla mamma Vittoria

Diaconia è un tema che mi accompagna – per grazia – fin dalla nascita, prima ancora: fin dal seno materno. Abbiamo da poche settimane festeggiato l’anniversario delle prime ordinazioni diaconali, tra loro era presente mio papà e quel giorno di 40 anni fa io ero nella pancia della mamma. I genitori mi hanno chiamato Pietro, come il santo cui era intitolata la diaconia assegnata a mio padre nell’avvio del suo ministero diaconale. Rileggendo la mia infanzia e giovinezza, mi rendo sempre di più conto di quanto molti di voi, con il dono della vita, avete contribuito a favorire un contesto nel quale la strada del servizio è una via ordinaria, bella, adatta ad ogni età e situazione di vita. Oggi mi accorgo chiaramente di come il dono, spinto fino al sacrificio di sé, non è esattamente da considerare come un dato acquisito, ma richiede una continua conquista, una continua conversione. Il fatto che questa generosità sia stata vissuta e proposta come la normale partecipazione alla vita ecclesiastica mi dà la misura di quanto don Pietro Margini sia stato capace di far innamorare a Cristo e alla Chiesa i suoi giovani e le sue famiglie. Questo contesto, questi esempi hanno tracciato il mio cammino, le mie prime scelte giovanili, il desiderio di cominciare a restituire quanto ricevuto. Le esperienze più belle, quelle che hanno illuminato la mia vocazione sono proprio legate a quando ho messo da parte le mie necessità e ho messo davanti il bene degli altri. Le esperienze da educatore rappresentano le prime luci dove ho imparato a conoscere Gesù servo. Così come – in modo del tutto particolare – il servizio nella esperienza di Giovani e Riconciliazione, sia nell’accompagnamento spirituale dei penitenti che nel supporto logistico.

Per questo quando don Pietro Adani – con mia grande sorpresa – mi ha detto che la comunità mi aveva indicato tra i candidati al diaconato non l’ho respinto subito e, pur tra tante resistenze (sono troppo giovane, non sono degno, mi basta essere sposato… ecc) ho deciso comunque di intraprendere il discernimento vocazionale.

Gli anni del discernimento non sono sempre stati in discesa, chi mi è vicino lo sa. Ma mi hanno aiutato a maturare che il servizio è il luogo dove posso conoscere e imitare Gesù, conformarmi a Lui. Diaconia è diventata così vocazione, ossia il mio modo proprio di appartenere a Cristo in unità con il mio essere sposo. Sono diacono da pochi mesi e davvero non ho da insegnare niente a nessuno, posso però testimoniare che ho iniziato a gustare la ricchezza di servire Cristo principalmente nella liturgia, nella vita di famiglia, nella mia piccola comunità, nella testimonianza sul lavoro. E con una attenzione nuova verso le povertà del nostro tempo, materiali e spirituali. Ecco perché dicevo in apertura che il servire non ha rappresentato e non rappresenta per me semplicemente un fare, non una tassa da pagare per favorirmi il Paradiso, ma rappresenta la strada che il Signore mi ha offerto per la mia santificazione, in unione con il matrimonio.

Dicevo poi che la diaconia rende feconda la mia vita. Quando mi è stato proposto di iniziare il cammino di discernimento vocazionale vivevo una situazione di vita che aveva raggiunto una sua stabilità. Sposato da 7 anni, un buon lavoro, una bimba di 5 anni; mia moglie vicina al traguardo, per dirla con Checco Zalone, dell’agognato posto fisso. Avevamo il desiderio di figli ma non arrivavano. Ecco quindi che più o meno nelle stesse settimane, Bebe ed io abbiamo deciso di rilanciarci in percorsi nuovi: io nel discernimento per il diaconato, Bebe come coordinatrice della nascente esperienza di istruzione famigliare a Reggio Emilia, accogliendo il desiderio di alcune famiglie amiche.

Prendo spunto dal discorso stupendo che il caro amico Umberto ha rivolto ai giovani in Terra Santa: in quel periodo abbiamo spostato il nostro baricentro fuori di noi, centrandolo nel Signore. Bene…A distanza di pochi mesi abbiamo saputo di attendere un figlio; bellissimo. Viene poi fuori che erano due, gemelli… sinceramente prima c’è stato un sentimento di stupore (ricordo di aver stupito anche la mamma quella volta!). Poi però abbiamo letto questo doppio arrivo come una abbondante benedizione. Una esperienza che sempre e in vari modi abbiamo sperimentato: quando ti metti a servizio del Signore, il dono è fecondo, dona vita nelle relazioni. E poi l’arrivo di Filippo, che abbiamo chiamato così proprio come uno dei primi diaconi, il primo missionario. Insomma, la stabilità, nella sua accezione negativa, è diventata giocoforza una chimera!

Come terzo punto dicevo che il servizio è principalmente alla comunione. È stato illuminante ascoltare la predicazione di un esegeta che ci spiegava, commentando il testo atti sulla genesi del diaconato, che i primi sette sono stati chiamati a pacificare le contese tra le prime chiese, ministri per la comunione. Ho collegato immediatamente questa chiave di lettura alla intuizione avuta da don Pietro Margini, il suo desiderio che ogni comunità avesse un diacono. Non perché il diacono risolva tutto, ma perché sia un segno sacramentale di una vocazione alla quale tutti siamo chiamati, che è quella della vita di comunione. Abbiamo infatti la fortuna di poter vivere il servizio alla comunione a partire dalle nostre piccole comunità. E quanto è difficile ed allo stesso tempo quanto è bello viverlo sulla propria pelle.

Piccola comunità “Corpus Domini” il giorno del diaconato di Pietro Ferrari e Matteo Ponticelli

Mi pare di poter dire anche a nome degli amici Matte e Franco che anche oggi il diaconato permanente rappresenta una via bella, anche nella nostra associazione, per consacrare la propria vita a Cristo servo, contribuendo a creare spazi di umanità e comunione.

Quindi, riepilogando, direi in tre parole: diaconia come vocazione, fecondità e comunione.

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