Si riporta commento di don Gigi Lodesani durante la veglia di preghiera per il futuro sacerdote Francesco Ametta. In occasione della veglia di preghiera don Francesco ha fatto le promesse definitive nella “Comunità Sacerdotale Familiaris Consortio”.
La vocazione sacerdotale – Don Gigi Lodesani
Partiamo dalla domanda: ”Che cosa ci realizza nella vita? Cosa ci rende felici? E’ una domanda che interessa ciascuno di noi. La risposta abbastanza facile è: la comunione, la relazione. Siamo stati pensati e creati proprio per questo. Sappiamo bene che la solitudine è la prima cosa non buona che incontriamo nella creazione. E cosa decreterà se nella nostra vita noi saremo felici oppure no? Se arriveremo in punto di morte realizzati oppure no? E’ proprio l’amore, cioè se avremo amato e saremo stati amati. Questa è l’unica cosa che conta.
Allora la domanda che mi porrei in questa occasione è: perché così pochi giovani oggi, qui da noi, nel nostro contesto, rispondono alla chiamata sacerdotale? Come mai ci sono così pochi ragazzi che rispondono sì al sacerdozio? Forse perché Gesù chiama di meno, oggi? Cioè è finito il tempo dei preti? Siamo andati 2 settimane fa col Movimento Giovani in pellegrinaggio a San Luca e su una colonna, verso l’arrivo, c’era una scritta che mi ha fatto un po’ sorridere: “- preti + prati”.
Qui abbiamo entrambi, preti e prati e coesistono abbastanza bene!
Però sicuramente abbiamo la sensazione che ci sia qualcosa che si è reso più complicato tra la vocazione al sacerdozio e la risposta. Stando in mezzo ai giovani posso dirvi che ci sono dei segni eloquenti che non è così, non è così. Non è vero che il Signore chiami di meno oggi. E’ più difficile rispondere.
Cosa ci è di ostacolo a rispondere sì al Signore? A rispondere ad una chiamata che oggi don Francesco ci fa vedere che è una chiamata bella, è una chiamata ad una totalità?
Quello che ci fa da ostacolo sicuramente è la paura. Il Vangelo è pieno di paura, cioè è pieno di persone che hanno paura, compresi gli apostoli, e Gesù non si stanca di rassicurarci su questo: non abbiate paura! Perché avete ancora paura? Perché avete così poca fede da avere paura?
Allora sicuramente la paura ci è di ostacolo: la paura di non essere felici; c’è la paura che il Signore non possa renderci felici; la paura di non farcela, di non avere abbastanza forze per intraprendere una storia e una strada così; la paura della solitudine; la paura di non avere figli, di non essere fecondi; la paura di non amare davvero, di trovarsi a un certo punto in un grigiore della vita; la paura di non realizzarci come uomini: usando una parola del vangelo, la paura di essere eunuchi.
Ma queste paure sono condivisibili anche con la vocazione al matrimonio. Tutte le paure che ho detto non sono così distanti nemmeno per un ragazzo che pensa ad una famiglia.
Don Tonino Bello direbbe che oggi i giovani sono lusingati da tante cose. Lusingati vuol dire attratti e illusi da tante cose che promettono la felicità e invece non la danno. Potremmo mettere queste paure che ho elencato, (ma ce ne sono tante altre, queste mi sembravano quelle più forti) dentro al tema dell’avarizia. San Francesco diceva che il contrario dell’amore è appunto il possesso.
L’avarizia nel senso che oggi, per noi che abbiamo tante possibilità, innumerevoli possibilità, sempre più possibilità, fare una scelta ci costa sempre più fatica, ci costa una rinuncia che ci sembra troppo grande rispetto a quello che noi andiamo a guadagnare. Avarizia nel senso che abbiamo paura di perdere qualcosa che è nostro, ma addirittura qualcosa che è nostro nella potenzialità, nella possibilità. Se ci pensiamo un attimo non potremmo mai nella nostra vita realizzare anche il minimo di tutte le cose che potremmo. Ecco, vorrei ribadire con forza questo: non abbiate paura, quello che ci dice Gesù, non abbiate paura che chi ci ha dato l’intelligenza, se ci chiama a sé non frustra la nostra intelligenza.
Se ci ha dato un corpo, se ci chiama a sé, non frustra il nostro desiderio di amare.
Chi ci ha dato dei talenti non vuole che noi siamo dei falliti.
Chi ci ha fatti per amare desidera che noi ci realizziamo proprio in questo.
Allora credo che la nostra vocazione al sacerdozio sia una delle forme più belle, delle espressioni più belle, che noi abbiamo per realizzarci proprio in questo: nell’amore, che è la cosa più importante della nostra vita. Diceva don Pietro Margini: “Beato quel ragazzo, quel giovane che sente la vocazione sacerdotale; non può adoperare meglio la sua intelligenza e il suo cuore. Beato lui!”. La vocazione alla gioia e la vocazione ad essere sempre con Gesù; la vocazione a non essere mai solo, che come dicevamo, è una delle paure più grandi che abbiamo.
Allora la vocazione, ogni vocazione, è essere chiamati; è una elezione; è qualcuno che ci viene a chiamare, è qualcuno che ci nota. Ciascuno di noi ha una vocazione, ognuno di noi è notato ed è chiamato. Diceva don Barsotti che “la vocazione cristiana è una nuova creazione di Dio”. C’è una somiglianza forte tra la Genesi che ci racconta la creazione e il Prologo di Giovanni che ci racconta l’incarnazione, cioè Gesù che viene nel mondo e si fa uomo. Non si tratta più di chiamare all’essere cioè all’esistenza il sole e la luna, di chiamare gli animali alla vita, ma questa nuova creazione è Gesù che chiama a seguirlo. Questa è una nuova creazione: una vita con Gesù! Stare con Gesù significa diventare creature nuove. Significa imparare a stare dentro alla vita con una novità di vita (abbiamo ascoltato domenica scorsa: “faccio nuove tutte le cose”). E’ proprio così. La presenza di Gesù rende nuove tutte le cose.
La vocazione significa fare esperienza di questa elezione, questa esperienza di amore. Qualcuno che ci chiama, ci chiama fuori dall’anonimato, ci eleva, e ci pesca fuori dall’anonimato. Incontrare qualcuno che ci fa sentire unici. E posso dire che la vocazione sacerdotale è questa esperienza di unicità che Gesù ti fa vivere, ti fa toccare; una unicità che non ti fa sentire staccato e slegato da tutto ma una unicità che ti permette di metterti in relazione con qualsiasi cosa.
Per rispondere allora ad una vocazione, dobbiamo partire dalla consapevolezza che non ci bastiamo, che non possiamo bastare a noi stessi. Questo è il primo punto per poter rispondere alla vocazione: non ci bastiamo! Non ci basta la vita che abbiamo, non ci bastano le cose che abbiamo.
Siamo allora chiamati all’amore, quello che fa girare la testa, letteralmente, per essere segno di una presenza. Un sacerdote si rende conto innanzitutto di questo, che è chiamato ad essere segno di qualcun altro, segno della presenza di qualcun altro. Potremmo dire la stessa cosa di uno sposo e di una sposa: anche loro sono chiamati ad essere segno di qualcun altro.
Quello che ci auguriamo per don Francesco è di essere sempre segno di questa presenza. Ciò che rende felice l’innamorato è onorare l’amata e l’innamorato porta l’amato sempre con sé, anche quando non vorrebbe. Essere segno di una presenza ci ricorda che la fede non può fare a meno del segno. La nostra fede ha sempre bisogno di segni, ma allo stesso tempo esige continuamente il superamento del segno. Questa è una delle immagini più belle anche del sacerdote che è consapevole di essere segno, un po’ come Giovanni Battista, deve sempre rilanciare a qualcun altro, deve far andare sempre oltre a sé. Senza il superamento del segno non riusciamo a raggiungere Dio, senza il superamento del segno tutto ci illude.
Essere sacerdote significa mettere la propria vita a disposizione di questo salto, di questo balzo al di là, per fare toccare qualcosa di Dio, per fare sperimentare qualcosa di Dio. Chiediamo per don Francesco, di diventare segno di questa presenza di Dio. Che la sua vita possa dire che Dio è presente, che Gesù è presente, che Dio è vivo. Sempre consapevoli che Dio è amore infinito! Per questo Lui non può darcene prova finché noi siamo finiti, finché siamo nel finito. Per questo abbiamo bisogno del segno.
Auguriamo a don Francesco di poter fare la volontà di Dio che non è impresa di uomini, per nessuno, neanche per un sacerdote. Nessuno può fare la volontà di Dio, o meglio compiere la volontà di Dio.
Solo Dio può! Per poter fare la volontà di Dio dobbiamo affidarci a Lui, perché solo Dio può fare la sua volontà; e noi solo nella misura in cui entriamo con docilità al suo servizio, entriamo con docilità tra i suoi amici, tra gli apostoli. Solo se entriamo con umiltà nella sua sequela, ecco che in noi può realizzare la volontà di Dio .
Dio ha scelto di salvare il mondo attraverso la Croce e l’umiltà. Se pensiamo di salvare il mondo con altri mezzi tradiamo la missione di Gesù e don Francesco tradirà il suo sacerdozio se pensa di salvare non attraverso la croce e l’umiltà. Vorrei ricordare le brevissime parole che ci ha lasciato Umbo proprio sull’umiltà: ”la malattia mi ha fatto fare esperienza speciale dell’umiltà, l’umiliazione, quella da cui non puoi scappare anche se vorresti e la strada è quella di Gesù: portare le umiliazioni in speranza. L’umiltà consiste nel farsi piccoli non per qualche necessità o utilità personale, ma per innalzare gli altri”.
Vorrei lasciare una immagine a don Francesco come segno per la sua ordinazione: l’immagine di un fiore che non so se tutti conoscono: è la viola gialla. Cresce in montagna. Il sacerdozio mi sembra proprio così, come una viola gialla. E’ uguale a una viola, sempre 5 petali. In un certo senso tradisce il suo colore o meglio il suo colore tradisce il suo nome, e mi ha sempre ricordato l’immagine del sacerdozio perché non toglie il nostro essere viole, cioè l’essere uguale a tutti gli altri, non toglie la nostra natura, la nostra fragilità. Allo stesso tempo capiamo che questo giallo non c’entra un granché, cioè si capisce che c’è qualcosa di paradossale dentro questo fiore. Il sacerdote è un paradosso proprio per la sua fragilità, per la sua umanità e nello stesso tempo questo segno, che dicevamo così fragile, è espressione di qualcosa di molto più grande.
Che la tua vita, don Francesco, possa essere gialla di questo colore di Gesù e che tu possa mettere la tua vita al servizio del regno dei cieli come leggiamo nel vangelo di Matteo: “il regno dei cieli è come uno che trova un tesoro in un campo e va tutto pieno di gioia e vende tutti i suoi averi”. Come fanno a stare insieme la gioia e vendere tutto? E’ proprio questo il paradosso del vangelo. Siamo nella gioia di vendere tutto quando sappiamo che ciò che abbiamo trovato è molto più grande di quello che ci sembra di perdere, di lasciare o di abbandonare.
Concludo con altre parole di Umbo, che sto citando non a caso, perché le vocazioni sacerdotali erano una delle cose che lo rendeva, anzi che lo rende più felice; ci ha sempre tenuto tantissimo alle vocazioni, a pregare per le vocazioni. Ha offerto tanto nella sua malattia per le vocazioni e mi sembra che oggi sia un momento bello per avere vicino anche lui.
“E qui non posso non aprire una parentesi (stava parlando alle famiglie e ai giovani sull’importanza di condividere la vita con il sacerdote). Non so quanto vi ritroviate con me nella consapevolezza della decisività della sua presenza come amico e ancor prima come sacerdote. Il sacerdote porta Dio nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, e per noi è manna dal cielo perché da soli ci perdiamo, ci sediamo, la nostra vita spirituale nel contesto odierno scivola inesorabilmente ai minimi termini e scompare. E così si spegne il motore di tutto e non gira più niente. Il sacerdote è carburante per la nostra vita spirituale perché ci aiuta ad alzare lo sguardo verso l’alto, perché per noi è segno e presenza viva di Dio. Ormai sono un pappagallo: non mi stancherò mai di dire ai ragazzi di stare vicino ad un prete, di tenerselo stretto, di fare una buona direzione spirituale. Che strumento prezioso. Il livello della nostra vita spirituale e quindi di tutto il nostro agire quanto dipende dalla direzione spirituale! Che dono e responsabilità grande. Investiamoci preghiera, cuore e tempo, perché se si lavora bene su quello poi gira tutto”.