Esequie di Maria Elena Zanichelli – Omelia di don Giuseppe Zanichelli

Messa di saluto a Maria Elena Zanichelli

13.08.2021- Chiesa di sant’Alberto di Gerusalemme (Reggio Emilia)

OMELIA

Oggi usciamo allo scoperto, quello che era il tesoro nascosto di una famiglia, diventa luce e la luce non si può tenere nascosta. La luce che viene dalla vita di Maria Elena è la gloria di Dio.

In questi ultimi giorni il mio rapporto con Dio è stato un po’ complicato, mi sono fermato a chiedergli che cosa volesse ancora, mi sembrava di avergli dato già tanto anche con il dono della mia vita, per quanto non sia poi una cosa così straordinaria. Poi è vero che noi corriamo il rischio, che io corro il rischio, di partire coraggioso e finire poi, come spesso propongono le banche, a rateizzare il nostro dono a Dio.

Ho pensato come prima cosa di presentarvi un po’ Maria Elena. Nata nel giugno di 37 anni fa, entra nella nostra famiglia dove insieme a Mamma e Papà (anche lui partito per il cielo oramai 7 anni fa) c’eravamo già io e mio fratello con 9 anni io e 6 Massi, in più dell’Elena. Da subito lei ha preso il posto centrale, nessuna gelosia (io penso), nessuna difficoltà a mettere al centro chi era più piccola. Ma andiamo per gradi.

Maria Elena comincia il suo cammino di crescita e tutto va bene fino a quando qualcosa si inceppa, si incarta su sé stessa, comincia a perdere progressivamente quelle autonomie e capacità che aveva conquistato: l’uso delle mani, la capacità di camminare, ecc….Stava cominciando a raccogliere la sua messe la sindrome di Rett. Lo abbiamo imparato molto più tardi. Elena ha dovuto compiere un vero e proprio cammino nel deserto, un deserto fatto di persone, il cammino che l’ha portata ad aprirsi, a stare bene, a vivere e godere della vita. Tante volte in famiglia ci accorgevamo che era lei la prima a ridere di fronte ad una battuta. Questo esodo è stato un cammino dall’oscurità alla luce, dall’essere sola in questo mondo, alla scoperta di avere una mamma, una famiglia; alla scoperta della vita. Questo cammino ha richiesto ore e ore, spese in particolare dalla mamma, che ad un certo punto per dedicarsi a lei, ha scelto di lasciare anche il lavoro. Per andarla a prendere là dov’era e portarla fuori, portarla ad un incontro, portarla e non temere la vita.

Le abbiamo parlato, le abbiamo cantato, abbiamo insieme suonato, siamo andati in vacanza, la nostra quotidianità ha preso i suoi tempi ed i suoi ritmi, ne sono testimoni gli amici di comunità con cui da sempre abbiamo condiviso la casa e anche nel momento in cui per noi abitare al terzo piano della casa di via Piave diventava complicato scendere le scale [era una casa senza ascensore] hanno scelto di trovare e ricostituire insieme un’altra casa, dove siamo adesso. Stavamo a pranzo a cena mediamente un’ ora e mezzo tutti i giorni. Un’ora e mezzo per il pranzo, e un’ora e mezzo per la cena. Di notte spesso c’era da correre da lei. Poi le crisi, con periodi dove cominciava la mattina e non sapevi quante ne avrebbe fatto ad andare a sera.

In mezzo a questo la nostra vita di famiglia con le tappe e i momenti di ciascuno di noi. Vissuti in comunità con le famiglie degli amici, con la guida dei sacerdoti. Ricordo che dopo il primo periodo fatto in seminario venni a casa per un tempo di vacanza erano 11 giorni, non mi ha sorriso fino all’ultimo giorno, fino all’undicesimo, per farmi pagare il fatto di essermene andato – ed ero andato in seminario… forse sono cose su cui riflettere.

Come anche il fatto particolare che quando la domenica mi fermavo a casa a dormire, la mattina era sempre sveglia per tempo (e non aveva un telefono per puntare una sveglia). Così prendevo il mio caffè e lo bevevo seduto sul suo lettone, parlando con lei, che non poteva rispondermi con le parole. Ricordo la dolcezza del papà che la sera gli faceva dire le preghiere alternando alle parole dell’Ave Maria tanti piccoli baci… o le uscite con Massi che la portava in birreria o a prendere un aperitivo o semplicemente a fare due passi nell’Enza tornando con le ruote della carrozzina piene di terra.

Un cammino fatto con insieme con lei al suo passo e in questi giorni i passi sono diventati difficili, era difficile da seguire e accompagnare sui sentieri del Calvario. Quante volte ho pensato che avrei voluto mettermi al suo posto, ma era un pensiero di orgoglio, perché io non avevo fatto il suo cammino, e non potevo pensare di poter salire quei sentieri di offerta che sono quelli della passione di Gesù. Dall’oscurità alla luce, dal deserto alla scoperta dell’amore proprio come ci dice la prima lettura: Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.

Le letture sono quelle della festa di Santa Chiara d’Assisi [cfr. messale francescano] che abbiamo ricordato con tutta la Chiesa lo scorso 11 agosto, giorno della nascita al cielo di Maria Elena, che porta nel suo nome il segno di Maria e quello della Croce, da Sant’Elena la regina, madre di Costantino, che si dice abbia trovato la croce di Gesù. Ha vissuto fino in fondo il suo nome e la sua chiamata.

Poi ho un secondo pensiero. Lei è sempre stata la sorella piccola. Ma in questi giorni ho capito che era diventata grande, grande per andare incontro allo sposo che è Cristo. Elena ha vissuto la sua consacrazione battesimale, nell’offerta della sua vita. Nulla poteva decidere per sé, solo se tenere aperti o chiusi gli occhi (ed era capace di tenerli chiusi anche per ore). Da tutto e per tutto dipendeva dagli altri. Ti alzi da letto se qualcuno ti alza, mangi e bevi se qualcuno te ne dà…. Ti vesti con ciò che gli altri ti mettono addosso; ed erano carine le discussioni al mattino con le donne del servizio sociale che venivano ad alzarla e volevano sfoggiare il guardaroba dell’Elena, o contestavano le scelte di abbinamento dei vestiti e dei colori fatti dalla mamma…. Ha vissuto l’offerta della sua vita comunicando con noi attraverso i suoi occhi, che in questi ultimi giorni diventavano piccoli e pieni di sofferenza chiedevano a noi un aiuto che eravamo incapaci di darle; se non quello di essere presenti, di stare vicino, di dirle che le volevamo bene.

Come ci dice il vangelo siamo riamasti nell’amore: rimasti nell’amore, come stavano nell’amore Maria, la madre di Gesù, con Giovanni e le altre donne sotto la Croce. Dicevo un secondo pensiero: la mia fatica grande è di lasciare andare mia sorella che non è più piccola, ma è diventata grande (l’età anagrafica non c’entra), e lasciarla andare incontro allo sposo che è Cristo. Nella sua innocenza, nella sua offerta era pronta. Era molto felice in questo tempo della sua vita, e ciò che amava di più erano le gite e i giorni di vacanza. Massi mi aveva mandato una foto con loro in funivia e lei che sorrideva mentre io li avrei raggiunti qualche giorno dopo. Ci ha convocato, e qui torno a santa Chiara, che nel racconto biografico del dono della sua vocazione a Cristo, si dice che nel giorno prescelto si fosse vestita bene, con gli abiti più belli, per salutare la sua famiglia, prima di uscire nella notte incontro allo Sposo…

Difficile per me leggere nella piccola Elly la maturità di una donna che ha vissuto il suo dono, che ha fatto il suo cammino nel deserto, che è passata dall’oscurità alla luce.L’Elly ha compito il cammino del discepolo, e preparata da una vita, il Signore l’ha unita a sé in un modo mirabile. In mezzo al travaglio dei giorni scorsi ricordo i suoi sorrisi, nel momento in cui i sanitari le sfilarono il tubo che ormai da 10 gg portava ossigeno ai suoi polmoni, finalmente libera, ha ripreso a sorridere. Come anche alla fine spossata dalla lotta ha trovato l’energia di comunicarci con i suoi occhi che comprendeva la nostra vicinanza e il nostro affetto.

Siamo rimasti nell’amore e lo abbiamo fatto fino alla fine. Ora il cuore è diviso, inevitabilmente aperto fra cielo e terra, ma questo è il cammino del cristiano, che vive la sua vita con il cuore aperto. Questo cammino non è stato un cammino privato della nostra famiglia, ma vissuto insieme. Insieme in particolare alla comunità sacerdotale, alla comunità della presentazione di Gesù al tempio (quella dei nostri genitori), con tutto il movimento, in particolare con i giovani che ora sono ai campi in Piemonte e in Valle d’Aosta, con le famiglie del cammino del “Mov” a Verona – lo chiamiamo così per semplicità. Lo abbiamo condiviso perché così è lo stile che abbiamo imparato.

Un grande grazie all’Unità Pastorale Giovani Paolo II che oggi ci accoglie (e dove ci sentiamo a casa), segno della maternità della chiesa in cui noi figli facciamo il nostro cammino dalle tenebre alla luce dal deserto all’amore.

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