Omelia 26 Aprile 2020, don Benedetto Usai

Omelia 26 Aprile 2020, III Domenica di Pasqua, don Benedetto Usai

Mostraci, Signore, il sentiero della vita.

Sono capace di vivere? Ci provo, alle volte mi sembra di volare, altre volte di precipitare, ci sono giorni che sono così motivato che salto come una cavalletta da una parte all’altra senza limiti o freni, ce ne sono altri in cui preferirei scomparire senza lasciare traccia, perché avverto dentro di me una tale prostrazione che l’unica compagnia che mi rimane è la terra arida. No, non sono capace di vivere, riconosco di essere un semplice apprendista. Cosa mi manca? L’umiltà, l’accettazione completa della mia condizione di uomo, mortale, finito e ferito, che non posso oltre passare ne’ misconoscere. Ad esempio: la morte è una certezza, il giorno che stiamo vivendo una volta finito non tornerà più, questa mattina riscaldata dal sole o la sera colma di aspettative che ci aspetta, saranno le ultime della nostra vita. Cosa ci rimane? Se è solo così, sarebbe meglio far tacere i pensieri assillanti e le aspettative nascoste, perché ci rimarrebbe solo da aspettare, oppure, come è per Gesù, che per la sua Risurrezione ha dato vita alla morte, proviamo a diventare anche noi ‘confidenti’ con la nostra morte. Come? Guardiamola in faccia, non scappiamo di fronte alla nostre ferite, diamo un nome alle nostre fragilità, e con umiltà convochiamo il Signore con la preghiera, perché ci porti dentro al non senso di una vita senza di Lui e ci permetta di assumere il suo nuovo sguardo sulla vita. Infatti…‘non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?’. È Gesù che parla da Risorto, Lui che patisce con noi la nostra croce, e ci ripete ‘il mio giogo è dolce, il mio carico leggero’ (Mt 11,30) perché ci sono Io: questa è l’Eucarestia.

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