Omelia 7 Luglio 2019, don Benedetto Usai

Omelia XIV Domenica del tempo ordinario, 7-07-2019, commento per la Gazzetta di Reggio.

Fratelli, quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo… io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo

Ci si può vantare della croce? Chi mai lo ha fatto e chi al giorno d’oggi ha la pazza audacia di provarci? Croce dice morte, sofferenza, solitudine; croce è il contrario della gioia; croce è una parola che andrebbe bandita dal vocabolario perché se fosse possibile ne faremmo volentieri anche a meno. Ma è possibile? No, perché tutti ci salgono prima o poi. Ce lo dice la vita e, se mai ce ne dimenticassimo, ce lo ricorda. Non aspetta che siamo pronti, la sua venuta spesso ci sorprende e non è difficile che ci abbatta. Ma allora, che vanto è? Di solito mi vanto di un buon risultato ottenuto con tanti sacrifici, che è un toccasana per la mia altalenante autostima, un lasciapassare per un mio nuovo posto nel mondo oppure gioisco nell’intimo quando parlo delle persone care, la mia famiglia, i miei figli, i miei amici, perché nutro verso ciascuno una sentita riconoscenza di vita. Ma della croce no! Perché? Perché non dice vita ma morte…e se dicesse anche vita? Gesù ha questa pazza audacia: ama la croce, cioè ama chi è in croce. È venuto per loro, per condividere fino in fondo l’abisso della morte e portare la vita a chi non la vede più. È venuto per i peccatori e non per chi pensa di essere giusto, arrivato, completo. È venuto per dirci: la tua croce è la mia croce, sono con te quando tu sei cieco, il tuo desiderio di vita è più forte della tua desolazione, della tua tristezza, della tua impotenza. Sono Io quel desiderio, sono Io che ti cerco, sono Io che attendo la tua fiducia. Quando il Signore appare a san Tommaso, offre a lui e a ciascuno di noi una via sicura per incontrarlo. È una via che ci lascia a bocca aperta, proprio come la croce, perché ribalta i canoni classici della nostra ricerca di Dio. ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!’. Desideri incontrare la vita, trovare pace e gioire come non hai mai fatto? Tocca le mie ferite, mettici la mano, affondala senza timore, le mie ferite sono anche le tue, non sono altro da te, Io sono te. Tocca le tue ferite, abbraccia la tua croce, stacci con me; chiamale per nome, non allontanarle, portiamole insieme. Non mi vedi? sono Io che ti parlo, non sono più morto ma vivo. Dice Gesù ai suoi discepoli di ritorno da una missione esaltante, che li aveva visti protagonisti di tante guarigioni: ‘Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli’. Dobbiamo aspettare di morire per vedere i nostri nomi scritti nel cielo? No! La vita ci chiama, non scoraggiamoci, in ogni morte c’è un alito di vita. Crocifiggere il mondo non significa odiare il mondo e vivere come se fossimo degli angeli, ma lasciare che Gesù ci insegni a vivere da uomini. 

O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna.

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