Omelia di don Pietro Margini (1917-1990), 1988
VENERDÌ DOPO LE CENERI (Is 58,1-9; Mt 9,14-15)
Il Signore ci insegna stasera come deve essere e che senso deve avere il nostro digiuno, la nostra penitenza, la nostra mortificazione. Il digiuno è una forma di penitenza, è un distacco, e noi dobbiamo meditare molto in questa Quaresima sul necessario distacco. Digiunare vuol dire astenersi. E sono tante le cose che ci legano alla terra; sono tanti i piaceri che si accumulano contro il nostro spirito. Digiunare vuol dire staccarsi dalle creature per unirsi più facilmente a Dio. Tutta la Quaresima deve essere un anelito verso Dio, perché dobbiamo avere sete e fame di Lui. Dobbiamo sentire il bisogno di star molto uniti a Lui, di comunicare a Lui, di avere i sentimenti che Lui vuole che sviluppiamo, perché altrimenti non contano le preghiere, non contano i gesti. Il nostro cuore resterebbe ancorato alla terra, schiavo delle proprio passioni. Tutto ciò, che in qualche maniera tenta di impedirci l’unione con Dio, dobbiamo scartarlo.
Dobbiamo digiunare dal nostro orgoglio, dobbiamo digiunare dalle nostre passioni, dobbiamo digiunare dalle nostre voglie sregolate e sbagliate. Dobbiamo saper digiunare e vivere come ci ha detto Gesù, perché noi dobbiamo sempre entrare nella festa che è possedere Lui.
“Possono forse gli invitati a nozze digiunare?”; noi siamo gli invitati. Gli invitati ad essere con Gesù e con Gesù entrare nel seno stesso della Trinità, e con Gesù avere voglia di tutte le cose belle e sante. Gesù ci ha insegnato la volontà del Padre, Gesù ci ha insegnato la preghiera al Padre, Gesù ci ha insegnato ad essere il vero Regno di Dio. È su questo che dobbiamo insistere.
Ecco perché gradiremo le mortificazioni, le vorremo, le ameremo, perché sono un mezzo di sanità, un mezzo con il quale trionfiamo delle nostre voglie sbagliate. Cercare Dio. Anelare a Dio. Volere solo Lui. Impegnarci sempre in Lui.
Se guardiamo le nostre preghiere così poco desiderose di Dio, se guardiamo i nostri atti di religione tante volte esteriori e vacui, se noi guardiamo la nostra vita preoccupata più dell’umano che del divino, ecco…: digiunare dall’umano per avere più divino, per avere tanto divino, per partecipare più intensamente alla bellezza, alla bontà, alla misericordia di Dio.
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