Cari amici,
Papa Francesco, commentando la Trasfigurazione di Gesù, ha esortato a vivere la Quaresima come un’escursione in montagna, un itinerario “per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore”, per lasciarsi “condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità”[1]. Ormai prossimi alla meta pasquale, spero che in questa Settimana Santa possiamo raccogliere i frutti del cammino quaresimale, e che il Signore Risorto riversi abbondanti grazie su ciascuno, sui giovani, sulle coppie, sui sacerdoti, sulle famiglie, le comunità e le parrocchie.
Di recente, durante una di quelle lezioni della prima ora che si trascinano un po’ pigramente, senza sussulti, un alunno mi ha chiesto a bruciapelo: “Prof. ma lei crede davvero alla resurrezione?” L’enfasi era tutta su quel “davvero”.
Non so se la mia risposta abbia suscitato qualcosa in lui; se sia stata sufficientemente convinta, pronta oppure titubante, se il tono di voce sia stato appropriato, se la mimica abbia aiutato, non so quanto il suo cuore fosse preparato. Ma mi conforta che mi abbia posto la domanda; mi conferma che, nella apparente superficialità in cui sembra scorrere e consumarsi la vita di molti nostri contemporanei, persiste in ciascuno una ricerca di senso che incrocia il mistero di una tomba vuota, da quella santa domenica mattina di venti secoli fa: “La risurrezione di Gesù, dal punto di vista della storia del mondo, è poco appariscente, è il seme più piccolo della storia”.[2]
È questo seme che siamo chiamati a portare e a tramandare, perché possa germogliare e donare al mondo l’abbondanza dei suoi frutti, secondo il mandato di Gesù che abbiamo scelto come tema dell’anno: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21).
Dalle origini i cristiani sono stati una provocazione con la semplice testimonianza; Tertulliano racconta di come i pagani si meravigliassero della loro vita fraterna tanto da convertirsi: “Vedi come si amano tra loro, e come sono pronti a morire uno per l’altro”.[3] Testimoni di una nuova vita, soprattutto la domenica, giorno in cui la comunità dei credenti si riuniva in festa nella memoria della Resurrezione, i cristiani di Abitene (304 d.C.) preferirono il martirio pur di proclamare questa verità: Sine dominico non possumus.
E a noi, che testimonianza della Resurrezione è richiesta oggi?
Forse è proprio da qui, dalla conversione del nostro cuore, delle nostre famiglie e comunità che può partire la rivoluzione in grado cambiare quel mondo che ormai, come cristiani, stentiamo a riconoscere. Tutti i profeti-fondatori sono stati di esempio: «fare una rivoluzione non vuol dire tramare contro quello che era, ma preparare delle realtà nuove e delle autentiche novità; fare qualcosa di vero e di nuovo. Al di fuori di queste due categorie non ci sono rivoluzioni organiche, ma solo infantili».[4]
Da più parti si invoca un nuovo umanesimo, inteso come movimento culturale che riproponga l’uomo al centro del mondo. Non possiamo non condividere questa speranza. Sappiamo d’altro canto, perché la storia ne è testimone e la fede ce lo insegna, che ogniqualvolta Adamo si erge come autonomo signore del mondo, si preparano tempi cupi e nuove ingiustizie. Al contrario è Gesù Cristo, uomo perfetto (cfr. Ef 4,13), “centro del cosmo e della storia”[5] che solo può orientare l’umanità verso un progresso autenticamente e integralmente umano, anche e soprattutto nei momenti di grande buio: “Ecce homo” (Gv 19,5).
Alla sua promessa affidiamo tutta la nostra speranza: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).
Buona Pasqua!
Marco Reggiani
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