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“Cercate le cose di lassù” Serata in ricordo di Cristian Maffei – Quarto anniversario

Serata evento per il quarto anniversario della nascita al cielo di Cristian Maffei Regina Pacis – Sabato 30/03/2019

Introduzione di Elena Maffei

Buonasera e benvenuti,
grazie della vostra presenza così numerosa. E’ da tanto tempo che desideravamo portare nella nostra parrocchia una testimonianza della vita di Chiara Corbella Petrillo proprio in occasione dell’anniversario della nascita al Cielo di Chicco.

Questa sera avremo in dono la presenza di padre Vito, padre spirituale di Chiara e riferimento importante anche per Chicco e per noi.

Dalle sue parole ci auguriamo di cogliere una speranza grande, la certezza della Vita Eterna che, attraverso l’accompagnamento a Chiara ed Enrico, ha sperimentato.

Cinque anni fa, appena operato per un tumore al cervello a 23 anni, Cristian era nel pieno di una grande rabbia. La sua vita gli appariva continuamente schiacciata, allora più che mai. Tante prove l’avevano segnato sin dall’infanzia. A 8 anni la malattia e morte del papà e poi dello zio, la grave malattia della mamma, una laurea rimandata, un fidanzamento così desiderato eppure tanto provato…

Qualcuno che gli voleva molto bene ha portato sul suo comodino di ospedale la foto di Chiara messa in una cornice. Quella foto con la benda sull’occhio che tutti conosciamo.

In pochissimi, allora, sapevano chi lei fosse. Medici e infermieri chiedevano a Chicco se non si trattasse della foto della sua fidanzata e così, nonostante non ne avesse la minima voglia, era costretto a raccontare della vita di Chiara che stava imparando a conoscere.

Come ha scritto proprio lui: “All’inizio ho potuto gridare con tutte le mie forze, la mia rabbia, la mia angoscia. Pensavo che la mia vita fosse finita, fosse vinta. E invece, proprio riscoprendo in Chiara, quella donna che in ospedale amavo e odiavo al tempo stesso… Mi arrabbiavo quando mi dicevano che avevano fatto una veglia per me chiedendo l’intercessione di Chiara ma al tempo stesso quando mi chiedevano la sua storia andavo orgoglioso di poterla raccontare e paragonarla un po’ alla mia.”

Piano piano tutti noi, intorno a Chicco, iniziamo a conoscere sempre più la figura di Chiara e a farla conoscere. La sua vita è una grande luce nel momento che stiamo vivendo.

Quel “siamo nati e non moriremo mai più” è entrato profondamente, con forza, nella vita e nella malattia di Chicco e in tutti noi.

Grazie all’esempio di Chiara, e a momenti di svolta come il ricovero in una pediatria oncologica e una miocardite che lo porta vicino alla morte per poi quasi risorgere, la sua rabbia inizia a mutarsi in ricerca di Dio e profondità. Chicco inizia ad essere consapevole che la malattia non è solo per lui ma può diventare occasione di conversione per tanti. E così è.

Scrive: “Mi accorgo in questi ultimi mesi di quanto, solo con la mia presenza, posso profondamente scuotere le coscienze. Dio mi chiama a testimoniare la forza, la bellezza e la gioia del Suo Amore.”

Negli ultimi mesi Chicco aveva iniziato quasi a farmi paura. Da fratello minore da proteggere, ha poi reso duro il suo volto come quando Gesù si dirige a Gerusalemme per essere crocifisso. Non una durezza di cuore, ma una decisione ferma di vivere il suo sì fino in fondo.

Chicco ci riconduce a Chiara e, insieme, ci riconducono a Dio.

Non posso che immaginarli vicini, nella comunione del Paradiso, perché Chiara è stata maestra per il cammino di Chicco, come lui è stato per noi maestro nell’affidarsi a Dio.

Anche noi ora abbiamo bisogno di questi esempi luminosi, ma concreti e raggiungibili, di fiducia in Dio anche quando le cose non vanno, anche quando l’amore per la terra ti richiama a tutto il bello che ti è chiesto di lasciare, perché la promessa di Eternità è così grande.

In questa serata ci auguriamo che ognuno di noi possa sentire la chiamata alla santità come qualcosa di vicino e possibile. Attraverso le parole di alcuni testimoni amici vi consegniamo ciò che la vita di Chicco, offerta per amore, sta seminando nei nostri cuori per poi lasciare la parola a Padre Vito e alla vita di Chiara.

TESTIMONIANZE DELLA SERATA

In questi giorni di quaresima il ricordo corre inevitabilmente a ciò che la vita di Cristian ci ha donato, a ciò che ci ha dato la possibilità di assaporare e vivere. Sono 4 anni che Chicco non è più fisicamente qui con noi e la ferita del cuore per aver perso un amico fantastico ci sarà sempre.

Ripercorrendo la mia amicizia con Chicco penso alla grande empatia che c’era tra noi. Sentivo che eravamo felici quando trascorrevamo tempo insieme; il divertimento e la risata insieme a lui sono stati sempre una grande benzina per la nostra amicizia. Il tempo insieme a Chicco è una cosa che mi mancherà sempre moltissimo, perché lo percepivo davvero come qualcosa di grande e di eterno. Più volte ho pensato a ciò che il tempo insieme avrebbe potuto donarci. Più volte la mia mente è corsa a vacanze insieme, a chiacchierate, a condivisione… o a vedere un giorno Chicco con in braccio i miei figli. Pensavo che la nostra amicizia sarebbe durata per sempre.

Ricordo nitidamente il momento di quattro anni fa, quando Elena mi chiamò per comunicarmi che il tumore era ormai divenuto incurabile e che la preghiera doveva accompagnarci in quei pochi giorni che la malattia concedeva al corpo di Chicco. Sentii un grande peso sul cuore, un dolore grande. Eppure, da quella sera iniziò qualcosa che non avrei mai potuto immaginare.

Dio ci abbracciò come un Padre, ci elevò a Lui, quasi come se fossimo in un’altra dimensione, allontanandoci dalle logiche che tutto quel dolore poteva portare. Il ricordo corre a ciò che abbiamo vissuto in quella mansarda, a fianco al letto di Chicco. Le messe celebrate tutti insieme, la forza di Elena, la presenza instancabile di Mery, lo spirito saldo di Cecco e la guida paterna di don Pietro mi hanno aiutato moltissimo a vedere ciò che il Signore mi mostrava.

Il gesto della pace e dell’Eucarestia assunsero un significato del tutto nuovo. Chicco, con il coraggio di chi sa di avere in Dio un compagno fedele e un sostegno sicuro, divenne come Gesù sulla Croce. In quella mansarda, su quel letto, c’era Gesù che moriva e nasceva a vita nuova e che ci chiedeva di amarlo e seguirlo.

Non fu per niente facile accettare di lasciare Cristian; la tristezza era forte quando ero a casa mia, chiuso nella mia stanza. Il pianto segnava le notti, ma posso dire che il dolore più grande lo percepivo quando lasciavo quella mansarda per tornare a casa, perché là si sperimentava un incontro profondo ed unico.

Penso che Dio attraverso la ferita del cuore abbia trovato la via per segnarci nel profondo. La Pasqua era lì, davanti a noi, così violenta eppure così fragile e vera.

Accompagnare Cristian nella sua malattia è la più grande esperienza che abbia mai vissuto. Vivere la preghiera per lui e per le persone che gli volevano bene è stata un’esperienza di infinita grazia.

Da una grande sofferenza può nascere una vita nuova. Penso alle parole di Takashi Nagai, un cristiano giapponese sopravvissuto alla bomba di Nagasaki: “Amate tutti, fidatevi della provvidenza del Signore, e troverete la pace”.

Chicco ha profondamente cambiato il mio agire e il mio pensare, aprendomi gli occhi sul significato profondo in cui è immersa la vita e su quanto sia vera la presenza del Signore in mezzo a noi.

Il Signore attraverso la vita di Chicco ci ha mostrato la bellezza di una vita donata, di una vita vissuta intensamente e fedelmente a ciò per cui Lui ci chiama: vivere la santità nel nostro presente, vivere il Paradiso nei rapporti che ci legano, amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato.

Chi è Chicco?

Se penso a Chicco in un lampo mi ritrovo ad aspettarlo davanti ai gradini dell’erre e a pensare che anche stavolta potevamo tutti arrivare almeno 15 minuti dopo. Mi ritrovo poi nel prato, tutti in cerchio a cantare e vedo lui mentre suona la chitarra voltarsi e chiedermi di cantare altrove perché gli rendo difficile seguire gli accordi. Sono poi in montagna a ciaspolare, sono al mare a prendere il sole con lui che diventa a chiazze perché abbronzarsi in maniera normale non è mai stata una sua abilità, sono in gelateria a prendere sempre la stessa granita alla menta e religiosamente a lamentarsi del gusto appena dopo averla ordinata.

Sono con Chicco al canile ad adottare Snoopy e sono nel parco a farlo scorrazzare e a giocare con i suoi adorati nipoti.

Ma sono anche nel corridoio dell’ospedale mentre ci viene detto che qualcosa non va, “lo abbiamo dovuto portare in PS perché diceva cose strane”, sono in casa sua a fare il trasloco perché da soli non potevano più stare, sono a Milano a fare il tour degli ospedali. Ma soprattutto sono ancora in camera ad affidare al Signore un amico che ho visto in poco più di un anno cambiare di aspetto, di energie ma rimanere costante nella sua fede e nell’affidare a Dio i momenti tristi ma soprattutto a ringraziare per le gioie che gli sono state donate.

Se penso a questo stesso periodo di 4 anni fa la mia immaginazione corre alla disperazione di Maria sotto la croce del suo unico figlio, per cui ha tanto lottato, e la disperazione di Giovanni sotto la croce del suo amico con cui ha condiviso cosi tanti momenti e che gli ha insegnato come vivere nonostante il mondo spingesse contro di loro. Ma loro non si sono scoraggiati, non si sono persi perché Gesù aveva fatto di loro una famiglia e aveva donato la consapevolezza del significato della Vita indipendentemente dalla sua durata.

Chi è Chicco?

È lecito chiedersi come mai non ci limitiamo a condividere fra pochi i nostri ricordi comuni e la sofferenza della malattia conclusa e magari dimenticata nel caos e nei mille impegni della vita quotidiana. Io credo la risposta sia perché siamo cristiani e abbiamo visto quanto la fede, e soprattutto la fede condivisa, possa essere strumento di forza non solo per imparare a vivere la sofferenza ma anche a vedere la grandezza della vita nella sofferenza e ancora di più nella quotidianità.

Io sono qui a parlare per testimoniare che Chicco non era in nessun modo diverso da tutti noi. Chicco aveva difetti, debolezze e incertezze come tutti, ma ha avuto la forza di confidare nel Signore nei momenti più bui; e ciò ha permesso a tutti noi di vedere la bellezza della malattia e della sofferenza. Noi abbiamo pianto, abbiamo sperato e ci siamo arrabbiati, ma abbiamo inteso la

Vita come dono e come tale lo abbiamo accolto, lo abbiamo riempito di momenti di gioia e di sofferenza e infine il Padre lo ha ripreso a sé. Alla fine tutto era compiuto.

Io sono qui per dire che quei 15 mesi e questa stessa settimana di 4 anni fa sono stati più intensi di come forse sarà il resto della mia vita per intero. Ne sono derivati doni e benedizioni che non avrei saputo apprezzare altrimenti.

E allora sono qui perché non è necessario vivere la sofferenza per comprendere la grandezza del dono della Vita e della Vita nella fede, siamo qui a testimoniare la Vita di Chiara e di Chicco perché ogni mattina svegliandoci possiamo essere consapevoli del dono della nostra vita, siamo consapevoli che è disegnato per noi un progetto a volte difficile da comprendere e da accettare ma che non dobbiamo in alcun modo sprecare.

Sono qui per dire che se l’Amore chiede questo non possiamo che gioirne.

Quello che posso dire è che ho avuto la grazia di vedere in Cristian ciò che ogni educatore, come ogni genitore, si augura di vedere nei propri ragazzi: la capacità di riconoscere la propria chiamata, di riconoscere quel progetto di amore che Dio ha su ognuno e di aderirvi con un sì pieno.

Credo che Cristian il suo sì lo abbia detto: non senza fatica, di certo non a cuor leggero, di certo non senza sofferenza, ma il modo con cui ha vissuto prima la sua vita e poi la sua malattia, ci restituisce l’immagine di una persona che ha compreso il senso, l’ha fatto suo, e si è fidato e affidato.

Ci restituisce l’immagine di un ragazzo, e come tale lo conoscevo prima, che è diventato un uomo vero, cioè nella verità, un uomo che è andato a fondo della verità sulla sua vita e della chiamata di amore che lo ha generato.

Non un uomo vero nel senso di supereroe senza paura, o di un santino da appendere alla parete e da venerare come inarrivabile: Cristian ha avuto paura, si è arrabbiato, si è fatto tante domande, ha sopportato dolori, ha sofferto. Il suo percorso però, non l’ha portato a sprofondare nel baratro del non-senso, ma al contrario a riempire di senso la sua vita, andando per forza di cose all’essenziale della sua vocazione, alla verità profonda del suo essere uomo.

Nel momento in cui ha compreso questo, nel momento in cui ha detto sì ed ha abbracciato la croce di Cristo, ha capito che Dio aveva bisogno di lui, perché senza di lui non si poteva fare. Ed ha scoperto che non c’era più nulla da temere poiché nulla è impossibile a Dio.

Quando ha smesso di chiedersi “perché” ed ha cominciato a chiedersi “per chi”, Cristian per me non è morto, ma ha dato la vita: la prospettiva è sorprendentemente diversa, opposta direi.

Ha donato la vita offrendola per i suoi amici, per la sua famiglia, per i bambini malati incontrati all’istituto tumori di Milano. E ha donato la vita portando molte persone, e in special modo molti giovani, ad interrogarsi su come riempivano le loro vite, sulle loro scelte, sul valore dato al tempo, alle persone, alle esperienze, alle cose.

Proprio nel momento in cui la sua vita, agli occhi di tutti, sembrava essere più fragile e precaria, ha invece riempito di senso altre vite, ha spinto a farsi domande, a riconciliarsi con il Padre dopo tempo, a prendere decisioni, a stabilire o ristabilire priorità.

Posso dire che anche io e mio marito abbiamo vissuto questo in prima persona, ci siamo lasciati interrogare, ci siamo ritrovati a prendere delle scelte anche radicali, riguardo la nostra vita di famiglia, che hanno portato linfa nuova e hanno generato vita nuova in noi e nelle persone a noi vicine.

Questo è ciò che io posso testimoniare, perché l’ho toccato con mano, della vita di Cristian: una vita che ha generato e genera vita.

Credo di potermi ritenere una delle testimonianze della fecondità della vita di Cristian. Io sono un amico storico di Chicco, tutti mi ricollegano inevitabilmente a lui. Scuola elementare, medie, superiori insieme, stesso gruppo di parrocchia. Abbiamo sempre girato insieme. Poi c’è stato un momento cruciale in cui come si usa dire “le nostre strade si sono divise”. Siamo rimasti amici, ma in lui e in altri amici il desiderio di conoscere Cristo si è acceso, mentre nel mio cuore è rimasto un desiderio assopito.

Io non ho accompagnato Chicco da vicino nella malattia. Probabilmente è una affermazione che molte persone che ci conoscono potrebbero sentire come strana. Ma è vero; io ci sono stato soprattutto quando c’erano tutti. Se una persona non sta bene diventiamo tutti crocerossini. Ricordo una mobilitazione per fare il trasloco da casa sua a casa dell’Elena e Cecco quando è stato ricoverato per la prima volta, e che aveva raccolto tutti. Ci sono stato quando c’era bisogno di andare a dormire con lui le prime notti in ospedale a Milano. Poi piano a piano, capita la situazione, una volta definita “stabile”, il quotidiano ha ripreso il sopravvento e io continuavo a esserci per Chicco, ma nel mio tempo libero, non sono stato assente, ma neanche presente come forse mi avrebbe fatto bene essere. Poi sono andato in Erasmus e il tempo è stato ancora meno. Non vi annoio, perché non è questo il punto, il punto è che io sono qui a fare una testimonianza di una cosa che non ho toccato veramente con mano come hanno fatto altri. Ecco la fecondità di Chicco nella mia vita. Dopo la morte di Cristian, le persone considerate come quelle più vicine a lui, hanno pensato di trovarsi a condividere e fare tesoro dell’altezza a cui erano arrivati, alle alte vette di spiritualità e comunione raggiunte in quel cenacolo, in quella mansarda. Sono stato invitato, e il mio approccio è stato “vado a sentire, ma tanto poi io non parlo, mica parleranno tutti”. Sentivo un’attrazione, c’era tanta luce che usciva da quelle persone che avevano davvero accompagnato Chicco nel portare quella croce. E lì, in quella condivisione ho davvero percepito quella differenza: amici che lo avevano conosciuto nella malattia, e io che lo avevo visto.

Quella luce, quell’amore, quell’accoglienza e fermezza con cui ha testimoniato la sua malattia e la sua vita durante quei mesi mi ha interrogato. Non posso vedere una conversione dal bianco al nero nella mia vita. Ma certamente quel desiderio assopito di conoscere Cristo, che in quel periodo anche insieme alla luci, si stava risvegliando, ha avuto un angelo, testimone che ha soffiato il suo ossigeno su quella fiamma.

La difficoltà sta poi nell’applicare quella teoria che Chicco ha messo in pratica: “Se è vero che l’amore chiede questo allora non posso che gioirne”.

Dopo aver scritto una mia condivisione personale sulla vita di Chicco e averla mandata all’Elena, lei mi ha risposto: “Grandissimo Glauco, grazie per la tua bellissima testimonianza. Ora Chicco è veramente nella pienezza di Dio. Non c’è spazio per rimorsi o rancori. Ti vorrà ancora più bene e di certo continua a custodirti come amico prezioso.”

Il mio ricordo di Chicco non ha rimorsi o rancori, il mio aver vissuto così la vita con Chicco è il modo con cui il Signore mi ha portato a lui, perché sapeva che io sarei stato attirato da quella luce, e non dalle luci viste prima probabilmente.

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