Omelia di don Gigi Lodesani per l’anniversario di Umberto Roversi – 15 Aprile 2021

Terzo anniversario Umberto Roversi, Omelia don Gigi Lodesani

Albinea, 15 Aprile 2021

Sappiamo bene che San Pietro è un uomo passionale, anche istintivo, lo vediamo in tanti episodi del vangelo; eppure allo stesso tempo sappiamo che non è un uomo così coraggioso. Ha avuto paura di fronte ad una serva di testimoniare la sua vicinanza, la sua amicizia con Gesù. Eppure, passati pochi giorni da questo evento, da questa paura, da questo rinnegamento, lo troviamo con un coraggio da leone davanti al Sinedrio, davanti ai capi religiosi del popolo. Gli era stato ordinato, intimato, di non dire nulla nel nome di Gesù. Addirittura il Sinedrio, non riporta neanche il nome di Gesù. Non osano neanche nominarlo. Gli hanno ordinato di non parlare di “quel nome”, di non diffondere la dottrina di “quel nome”. Ecco, Pietro ha un coraggio da leone. In questo momento non ha paura di nessuna rappresaglia, non ha paura di alcuna minaccia, non ha paura neanche di mettere a repentaglio la sua vita. “Dite voi se è meglio obbedire agli uomini o a Dio”. Come mai questo cambiamento così repentino in Pietro? Questo brano mette anche noi, questa sera, di fronte ad una responsabilità, ad un esame di coscienza: nella nostra vita tendiamo ad obbedire agli uomini, e a noi stessi, oppure a Dio?

Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù viene dall’alto, che viene dal cielo; questo “dall’alto” è “dal cielo”.  Sembra quasi che Pietro abbia fatto esperienza proprio di questo: aveva il dubbio che Gesù, vedendolo arrestato, non fosse vero Dio, che non fosse tutto quello che Lui aveva promesso di essere. Che non potesse realmente proteggerlo, difenderlo, salvare la sua vita. Ora invece che Gesù è risorto, si è reso conto proprio di questo. Ecco, di fronte a questa esperienza, a questa esperienza dall’alto, non ha davvero paura a lasciarsi tutto dietro di sé, proprio come quando aveva seguito Gesù all’inizio. E Gesù viene dall’alto per una relazione, perché vuole una relazione con noi; e torna all’alto, al cielo, per ritornare a casa. Per ritornare nella sua dimora, per ritornare nel seno del Padre. Ecco, anche figurativamente questo alto, questo cielo, per noi è l’evento, lo spazio della generazione, delle generazioni. Anche noi siamo generati dall’alto. Lo stiamo leggendo in questi giorni, proprio nel dialogo con Nicodemo. “Chi non rinasce dall’alto” ci dice Gesù. Ecco, rinascere dall’alto significa essere consapevoli di venire generati e rigenerati continuamente da Dio. Mettere il nostro cuore, la nostra àncora in cielo e non in terra. Quelli che sono in terra vedono e giudicano le cose della terra, invece chi viene dal cielo riesce a vedere le cose attraverso Dio.

Quando dobbiamo guardare all’orizzonte, se una persona è sopra un piedistallo, o sopra ad una torre, riesce a guardare lontano molto meglio di chi sta giù. Ecco, guardare le cose dall’alto, guardare le cose dalla prospettiva del cielo, ci permette di vedere con una profondità diversa, ci permette di andare molto più alle cose fondamentali. Gesù allora è l’amico che viene dall’alto, o meglio, è Dio che è sceso dal cielo per diventare nostro amico. Ha voluto incontrare degli amici, ha voluto farsi degli amici. È una delle espressioni più belle del cristianesimo. Un Dio che è venuto in in cerca di amici.

Allora, non è difficile anche per me, questa sera fare un riferimento ad un amico che ora è in cielo, che è un’amicizia che viene dall’alto. È sempre un dono grande; anche se non viene tolta la sofferenza, il dolore, di una persona cara, un amico che muore. Ma è allo stesso tempo un dono, anzi è un tesoro preziosissimo. Perché la relazione non viene interrotta, perché la relazione non finisce. Si cambia davvero prospettiva, anzi, diviene un’amicizia che permette ancora di più di camminare verso Dio, di fare esperienza di Dio, e di guardare alle cose del cielo e non solo a quelle della terra.

Mi piacerebbe allora, per onorare Umberto, dire due cose proprio sull’amicizia.

Tutti noi abbiamo accesso a noi stessi, al nostro io, solo attraverso l’incontro con un tu. Soltanto attraverso l’esperienza con un altro, con un’altra. E l’altro ci libera sempre da noi stessi, ci svela noi stessi e i nostri limiti, e le nostre qualità, e i nostri doni. Ci permette di accogliere più facilmente noi stessi e quello che siamo. L’amico ci dona alle volte un senso più profondo di vivere, un significato più profondo della vita. Gli amici sanno che cosa sia il tempo, la preziosità del tempo, perché una amicizia si costruisce sempre sul tempo, che si investe.

E lo sguardo dell’amico è un’àncora, è un approdo sicuro, è un luogo al quale noi ci possiamo afferrare, soprattutto nei momenti di difficoltà e di sbandamento. L’amicizia è quel luogo, quell’esperienza che ci libera dal bisogno di un riconoscimento dell’altro legato alla prestazione, legato al confronto. Su questo noi siamo molto sensibili: guardare a noi stessi attraverso la comparazione, attraverso il confronto. Ecco, l’amicizia ci libera da questo e ci fa vedere la bellezza di essere riconosciuti non sulla prestazione ma sull’affetto, proprio sul sentimento. Sono riconosciuto, sono amato, semplicemente per questo, per quello che sono. Non per i risultati, non per delle prestazioni, non per degli interessi. Ecco che l’amicizia allora è anche il luogo della gratuità, della gratuità ricevuta, della gratuità donata.

Diceva già Aristotele tanti secoli fa che “l’uomo felice ha bisogno di amici”. Lo potremmo anche tradurre: senza amici non possiamo avere una vita realmente felice. Ecco perché avere amici in terra e in cielo diventa per noi allargare i confini. Acquisiamo uno spazio e un tempo illimitato. Così l’amicizia terrena è cammino verso il Signore, è avventura insieme come compagni di viaggio verso Dio, e l’amicizia più profonda è quell’amicizia che ci fa fare esperienza di Dio. Perciò quando abbiamo qualcuno a cui vogliamo bene, e che ci vuole bene, e che è già al cospetto di Dio, diventa ancora più vera e più efficace la nostra vita. Vorrei allora concludere con alcune parole proprio di Umberto, che ci parlano dell’amicizia.

“Ho intuito una bellissima corrispondenza tra i misteri del Santo Rosario e il mistero della comunione, o ancor meglio il mistero dell’amicizia. (…) Mi è parso così evidente: i misteri del Rosario descrivono in modo chiaro e completo le dinamiche più belle dell’amicizia e ci aiutano nella comprensione di questo prezioso tesoro. (…) Tutto ha inizio quando cresce nel tuo cuore il desiderio di altro, oltre a te stesso. Questo ti smuove: cominci a cercare, a metterti in gioco con altre persone. Poi, trovi qualcuno che capisci che è speciale, che intercetta delle corde particolari, con cui senti di poter costruire qualcosa di più. Inizi a viaggiare su una lunghezza d’onda diversa, ad aprirti al mondo dell’interiorità. Si traduce immediatamente nella gioia di ritrovarsi, nell’immediatezza della comunicazione, nel piacere della presenza in quanto tale. E quando si inserisce il Signore, allora nasce l‘Amicizia e si aprono delle porte magnifiche: la presenza con noi e in noi di Dio è la forma più alta dell’amicizia: è l’Amicizia.

Quanto è importante aver chiari questi fondamenti! Ogni tanto bisogna tornarseli a leggere per fissarli bene nel cuore e verificare seriamente come sto vivendo le mie amicizie.

Il criterio allora non è quanto ci corrispondiamo, quanto siamo affini, da quanto tempo ci conosciamo; l’amicizia deve invece rilanciare avanti il proprio e altrui cammino. Essere stimolo a vivere e realizzare la propria vocazione alla santità. Se viviamo così, allora il frutto dell’amicizia non può rimanere nascosto, perché al di là di quello che si vede, deve fecondare ed essere lievito per altri. Si tratta di una sfida meravigliosa ma anche difficile, perché in campo ci sono tutti i nostri limiti e le nostre povertà.”

E un’altra cosa che Umberto diceva ai ragazzi, lui che è stato il responsabile del cammino del Movimento Giovani per tantissimi anni: giocatevi fino in fondo, quello che sapete donare sarà quello che rimarrà di voi nel mondo.

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