XVIII Anniversario della nascita al cielo di don Pietro Margini

1 Gv 4,7‐10
Mc 6, 34‐44.

Non è sempre stato così; ma quella volta erano veramente in tanti a seguire Gesù. Che cosa cercavano? Un maestro, un pastore. Quando trovano ciò che cercano, quando trovano una verità, una luce sulla vita e sulla morte, una persona finalmente autorevole, anche le folle diventano docili e numerose, perché toccate nell’intimo delle proprie attese. Allora, come oggi, non mancano le persone di buona volontà che sanno superare indolenza e agitazione per seguire un vero maestro.
Molto più di questo avviene, se tale straordinaria persona è anche accogliente di tutti e di ciascuno, dei santi come dei peccatori, dei mediocri che non si espongono e di quanti si impegnano nel rischio di un’idea forte. Nasce così un popolo che appartiene a chi non teme di essere padre e pastore buono. O, forse, no. Siamo ancora alle premesse.
A garantire un buon cammino non basta il fatto di essere in tanti, di trovarsi bene in un momento di estasi rispetto alla fatica quotidiana. Perché a questo punto arriva la fame, quel bisogno più elementare che certo non descrive tutto il desiderio del cuore umano, ma che tuttavia non può essere ignorato. È il tempo della prova: chi potrà sfamare tanta gente? È la prova per la folla che si risveglia come da un grande sogno, ed è anche la prova per il pastore che sa di non poter soddisfare da solo un bisogno tanto grande e inesauribile.
Il cuore di Gesù conosce questo turbamento del pastore. Non si muove con spavalderia, ma con la consueta umiltà. E, tuttavia, sa che in Dio c’è posto per tutti e che a tutti provvede. Il sentirsi amati da una persona tanto ammirata e seguita, come lo era Lui in quel momento, così da diventare quasi irraggiungibile, può provocare persino scoraggiamento e sfiducia.
Nasce allora il progetto di una nuova consapevolezza del compito di ciascuno nella storia della salvezza: “Date loro voi stessi da mangiare”. Come Gesù ha scelto un piccolo gruppo di dodici discepoli perché stessero con Lui, così vuole che la folla si sieda in piccoli gruppi, dove ognuno possa avere il suo posto, dove nessuno sguardo si perda e a nessuno manchi il necessario. Questa distesa immensa di persone, riunite in piccoli gruppi, è una bellissima immagine della Chiesa che in Gesù trova la garanzia che in ogni angolo di umanità e in ogni esperienza di comunione è presente Dio.
La moltiplicazione dei pani e dei pesci si compie così in una condivisione che appare un vero miracolo agli occhi disincantati dei più freddi calcolatori, mentre tra i discepoli si svolge con naturale stupore per il semplice gesto dello spezzare il pane e dell’offrire il pesce.
Non da oggi le folle cercano una guida. Nel nostro tempo, più che mai, ognuno lo fa nella fatica di ogni giorno, tentando di scorgere la parola sicura, perché eterna, dell’autentico maestro.
Don Pietro è stato per noi un grande dono della Provvidenza: ha saputo guardare avanti e mostrare una strada da seguire, per tutti.

Così lo ha descritto con audacia un sacerdote, suo coetaneo: “È stato un profeta, un vero profeta”.

Non ha cioè vissuto alla giornata, rincorrendo la compiacenza e le pretese di chiunque; ha invece cercato e trovato, nel segreto della preghiera, una via che attraversasse il deserto di tante solitudini e capricci, per dirigere con sicurezza il cammino verso il luogo della pace, dal quale oggi con certezza è presente a ciascuno di noi.
Per questo colpisce che a distanza di tanti anni non si è ancora spenta la sua testimonianza; al contrario, è più che mai attuale ed impegnativa, al punto da apparire troppo grandiosa. La nota singolare della sua intuizione è stata quella di partire dalla vocazione familiare come vera vocazione cristiana ed ecclesiale.
Tra le “molte cose” che don Pietro ha insegnato, con notevole anticipo sui tempi, è evidente in particolare quanto abbia creduto nella dignità e nella missione della famiglia, per la Chiesa e per il mondo.
Oggi, ancor più che agli inizi della predicazione di don Pietro, questo è il terreno su cui dilaga l’impressione di “pecore senza pastore”: si moltiplicano le famiglie in crisi; il Matrimonio non è più univocamente riconosciuto come un valore; la famiglia non è più la scelta naturale della maturità, ed è ormai ritenuta da molti un’istituzione vecchia e superata.
Nel dare fiducia alle famiglie, don Pietro ha chiesto loro anche un salto di qualità nell’impegno personale di formazione e di spiritualità, perché attingessero da Cristo la forza necessaria per rispondere con amore e fiducia alla loro chiamata: quella di edificare la Chiesa. Ognuno ricorda che la parrocchia era per don Pietro una vera comunità, una vera famiglia. La stessa Chiesa, pur riconosciuta con grande rispetto nella sua istituzione gerarchica, è stata soprattutto concepita come una vera, una grande famiglia: la Famiglia di Dio, accogliente e missionaria.
Don Pietro ha riconosciuto alle famiglie stesse il compito di partecipare con lui e coi sacerdoti suoi collaboratori all’opera dell’evangelizzazione, per portare, anzitutto con la loro vita, il vangelo della famiglia nella parrocchia, nei luoghi di lavoro, nella scuola, nella città e nella politica, nel rapporto con tutti.
Non c’è una vera famiglia dove la vita umana non viene accolta e rispettata, riconosciuta ed accompagnata come il dono supremo di Dio al mondo e al cielo.
Da ragazzi, abbiamo imparato che non c’era sostanziale differenza tra il focolare domestico e la comunità parrocchiale, così che nessun luogo della vita poteva rimanere estraneo alla luce che si diffonde a partire proprio dal sentirsi profondamente amati ed educati all’amore casto e generoso.
Forte di una robusta ascesi, imparata dai numerosi e santi maestri di cui è stata ed è ricca la nostra Diocesi, don Pietro ha saputo donarsi come sacerdote con gioia e senza riserve, facendosi così modello del gregge, per condurlo in ogni ora del giorno e della notte al Sommo Pastore.
È stato, per molti di noi, il riflesso dello sguardo amorevole ed esigente di Gesù. A Lui e ai suoi figli, per le mani di Maria, ha donato tutto, e a chi lo incontrava ha chiesto molto. Più fortunati tra noi sono coloro ai quali ha potuto chiedere di più. Tanto spesso temiamo di essere esigenti con gli altri per paura di non essere all’altezza della fedeltà richiesta; chiedere è segno di amore. “Crescete i vostri figli con energia nel timore e nell’amore di Dio”. Così ci ha esortato con le parole preziose di un testamento che in molti ritengono a memoria, e ogni giorno riascoltano.

Tuttavia colpisce in lui la gentilezza con cui non mai ha imposto nulla ad alcuno; al contrario, ha creduto e saputo attendere che il Signore stesso ispirasse in ciascuno ciò che poteva e doveva fare, e ha aiutato ed incoraggiato ognuno in un sapiente e sempre disponibile discernimento, fin nelle più piccole questioni.
Ha voluto tradurre in scelte pastorali l’idea di Chiesa che il Signore gli aveva ispirato e che il Concilio Vaticano II e il Magistero Pontificio indicheranno successivamente con sicurezza.
Come potevano i piccoli gruppi, di cui parla il Vangelo di oggi, essere luogo di speranza e di condivisione? Non si poteva certo accontentare semplicemente di un’indovinata scelta organizzativa. Un giovane, una famiglia non può vivere in comunione con gli altri nel tempo senza trasformarsi profondamente, attraverso una continua conversione, nell’amore, al Paradiso. Dove si vive insieme la comunione non può esistere doppiezza, ipocrisia, una semplice convenienza politica: l’esperienza comunitaria trasforma in vita trinitaria di Dio quella di ciascuno.
Così don Pietro ha vissuto ed insegnato un vero culto per l’amicizia, fatto di attenzioni squisite e di una vivace carità. Come nella famiglia, anche nell’amicizia è l’amore umano il luogo privilegiato dell’esperienza di Dio; lo abbiamo riascoltato da san Giovanni proprio questa sera. È da questo inconfondibile segno che si rivela la presenza di Dio e l’abbondante benedizione. Per questo non c’era ombra che non potesse essere dissipata: tutti lo sapevano. Forti della sua paternità, i figli spirituali di don Pietro intuivano che il disegno magnifico di
Dio sulla famiglia e sulla Chiesa, pur non essendo risparmiato dalle prove e dai fallimenti, avrebbe potuto riaffermarsi nel cuore di ognuno sempre, rifiorendo e fruttificando abbondantemente; anche nella prova, lo
ripeto.

Ricordo la sua premura per dare ogni giorno il “pane fresco”, come diceva lui, il pane della Parola di Dio, a tutti coloro che glielo chiedevano; forse è proprio per questo che Gesù non aveva con sé delle scorte.

Ripetere le cose di sempre in un modo sempre nuovo ed aiutare nel cammino coloro che si avventurano, attraverso le umane contingenze, a riconoscere il soffio potente e discreto dello Spirito: questo era il suo continuo pensiero, e questo insegnava ai genitori. È perciò che si è dato infaticabilmente all’ascolto ed alla predicazione, alla Riconciliazione ed all’Eucaristia. Non c’era giorno in cui non soffrisse di non poter fare di più, pur nella pace di chi sa che è Dio a far crescere.
Oggi, il frutto del dono che il Signore ha fatto a noi, alla Chiesa e al mondo, appare più che mai evidente nella sua bella parrocchia, come in tante altre della nostra Diocesi, che lui ha amato e servito con tutte le sue forze, fino all’ultimo soffio di vita terrena. Così come è più che mai viva la ricchezza seminata nelle famiglie e nelle comunità che, da allora, si sono moltiplicate fino a diventare un vero Movimento, dal quale sono nate vocazioni familiari, diaconali, di speciale consacrazione e sacerdotali: un fiume di grazia che non si esaurisce e si riversa nella giovinezza che viene dai più giovani, affascinati da un progetto di vita capace di contribuire a trasformare il mondo intero in una vera famiglia, così come ci chiede il nostro Papa.
“Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci”. Toccando con mano la verità di questa benedizione, non abbiamo paura di donare ciò che abbiamo ricevuto. La famiglia non teme di spendersi per il vangelo, non ha paura di annunziare a tutti come è bello essere famiglia e comunità, una comunità che vuole vivere e testimoniare al suo interno l’amore di Cristo.
Sempre più spesso ci accorgiamo che soltanto apparentemente questo è un discorso incomprensibile per molti, e lontano dalla mentalità corrente; infatti, è questo che i bambini, i giovani, le coppie, le famiglie, coloro che sentono sbocciare in loro il seme di una vocazione, vogliono sentir dire e ancor più vedere.
Questo è vero soprattutto quando si accostano dei luoghi di sofferenza, di difficoltà: si chiede una testimonianza bella e gioiosa, integra.
Il pane della Parola e dell’Eucaristia, spezzato da don Pietro, quel pane che è il Corpo di Cristo vivente è lo stesso pane che vogliamo offrire e ricevere in dono nella celebrazione, per uscire anche noi sfamati e, contemporaneamente, capaci ‐ come singoli, come famiglie, come comunità di ogni tipo, come sacerdoti ‐ di portarne ancora di più a chi incontriamo sul nostro cammino, certi che non verrà mai meno. È l’invito ad impegnarci nella Chiesa, nelle nostre amate parrocchie, perché possano essere sempre di più comunità, senza stancarsi mai di rigenerarsi come famiglie feconde.
Siamo certi che don Pietro, a cui abbiamo dato il saluto di congedo proprio in questo luogo, ci guarda dal cielo con l’affetto di sempre, ricco della fortezza di un padre che fa fatica a nascondere la tenerezza della madre. A lui rivolgiamo oggi la nostra preghiera, perché il Signore porti a compimento la grande opera che ha iniziato in noi.

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